NIENTE ACCADE PER CASO

di Morgana

“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita ti risponde.” A. Baricco

 

Prologo

Un gabbiano le virò davanti prima di scendere in picchiata e scalfire l'acqua alla ricerca di cibo in una danza elegante e leggera. Lo seguì in tutto il suo volo fino al nido, dove vide anche i suoi due piccoli cuccioli spiumati e ansiosi di mangiare.

(C'è sempre una ragione, qualunque cosa ci succeda. C'è sempre un valido motivo. Ma proprio per tutto?)

Si poneva queste domande da giorni ormai, e da giorni attendeva risposte, guardando l’oceano davanti ai suoi occhi, quasi sperando che arrivassero come carico di qualche nave lontana.
Ma le risposte arrivano quando meno te l’aspetti e lei questo lo sapeva bene, l’aveva imparato col tempo e con le lacrime.

(C’è sempre una ragione per tutto… ma questa volta la potrò cancellare? Potrò dimenticare?)

Un filo sottile è il destino, a volte lo tiriamo fino quasi a spezzarlo o addirittura lo spezziamo, altre lo lasciamo dritto, ma in tensione, a volte è fin troppo lento e calmo. Poi succede invece che altri fili s’intrecciano e tocca snodare la matassa.

(Potrà dimenticare?)

Dubbi, angosce, delusioni, speranze, lacrime, sorrisi fa tutto parte della vita, anche se a volte qualcosa la si vorrebbe cancellare, ma se nulla succedesse, sarebbe solo noia, la vita sarebbe piatta, tutto aiuta a cambiarci, nel bene o nel male, come ci piacciono le belle sorprese, dobbiamo accettare le brutte, lei questo lo sa, non ha paura di affrontare se stessa, ha paura di affrontare lui, i suoi pensieri, la sua delusione, i suoi occhi. Ma potrà imparare qualcosa anche da questa esperienza. Potranno imparare insieme e insieme ne verranno fuori ancora.

(C'è sempre una ragione per tutto, la troverò, la troveremo, ma ora... è il momento di raccontare...)

I passi che ben conosceva si avvicinarono, sospirò, ora, seduta accanto a lui, guardando l’oceano, poté cominciare la sua storia.

 

 

Capitolo 1

 

La luce filtrava dalle serrande chiuse, l'aria era un misto tra odore di chiuso e un profumo che non conosceva. La testa le girava, le sembrava che tutta la stanza girasse con lei. Drizzò la schiena, le braccia erano pesanti e le gambe le dolevano. Sentiva il petto schiacciato come se avesse dormito sotto a un masso, fitte al basso ventre e anche la schiena era un continuo dolore. Cercò di alzarsi, ma si sentiva pesante come se avesse un carico al collo, nemmeno la testa riusciva a sopportare. Trascinò i passi fino al bagno, sentì nella bocca uno strano sapore, si guardò allo specchio, un rivolo di sangue le scendeva dall'angolo sinistro della bocca, sulla guancia un livido scuro, alcuni capelli erano strappati. Le venne da piangere, un colpo di profonda tristezza la prese al petto, eppure non riusciva a ricordare nulla, non sapeva spiegarsi cosa fosse successo. Si guardò meglio e scoprì che aveva addosso ancora gli abiti della sera prima, ma strappati e sgualciti. Si sciacquò la faccia più volte, poi si fece una doccia molto calda, lavando via stanchezza e dolore, ma non il dubbio e la paura di ciò che le poteva essere successo. Si rivestì in fretta, aprendo la porta si accorse che era stata forzata, allora tornò indietro, spalancò la finestra e con tutta la luce del giorno cercò qualche impronta o qualche indizio, ma c'era solo il suo sangue sul cuscino e i brandelli del suo abito sparsi sul pavimento. Era un bel tailler scuro, taglio elegante e deciso, ora non era più niente. Si sentiva terribilmente smarrita, sentiva di aver perso ogni punto di riferimento, come in una stazione vuota senza orari né binari e non sai più dove devi andare, che devi fare, a chi chiedere. Vide tutto buio davanti a sé, l'ansia che saliva, il cuore le batteva dritto nelle tempie, si sentiva soffocare, il respiro affannato. Un attacco di panico la prese, cadde a terra con le gambe incrociate, la schiena appoggiata allo schienale del letto, sentiva freddo, tremava e piangeva. Un colpo di tosse e ricominciò a sanguinare dalla bocca. Tornò improvvisamente calma, prese un fazzolettino dal comodino e si pulì la bocca. Si rialzò lentamente perché ancora le faceva tutto troppo male e uscì dalla stanza.

All'improvviso le sembrò di ricordare. La sera prima c'era stata una festa, vagamente ricordava qualche viso e la musica. "Gilmour" disse ad alta voce correndo a fatica in direzione della stanza del professore.
Girò la maniglia della porta già aperta, ma tirata all'interno da qualcun'altro.
"Professore, grazie al cielo, ho temuto che..."
"Françoise... anche io sono corso qui appena mi sono svegliato... ma Gilmour non c'è!" Bretagna davanti a lei aveva lo sguardo triste e basso, alzò la testa per guardarla e sconvolto urlò "Ma che ti hanno fatto?"
Lei scoppiò a piangere "Non lo so, non ricordo niente!"
Istintivamente l’abbracciò, fece per calmarla, lei si sedette sul bordo del letto del professore.
"Io ricordo che eravamo alla festa per la conclusione dell'assemblea, mi ero allontanato per prendere da bere, ricordi?" chiese alla ragazza.
"Vagamente!"
"Gilmour era accanto a te... poi non so cosa sia successo, mi sono risvegliato in un cespuglio nel giardino dell'albergo con le mani ferite e la giacca strappata. Ho pensato subito al professore e sono corso qui nella sua stanza, ma è vuota!"
"Io mi sono risvegliata nel mio letto, con i vestiti strappati e questi lividi, ricordo solo che eravamo nel salone, c'era la musica alta e tanta confusione, mi girava la testa, così Gilmour ha insistito perché uscissimo a prendere una boccata d'aria in terrazza, arrivati lì mi stava parlando di qualcosa, ma non ricordo più nulla"
"Proprio come me, però non mi piace il tuo stato, dovresti farti visitare!"
"E da chi? Dobbiamo trovare Gilmour!"
"Forse la Dottoressa Sorokin sa qualcosa, andiamo da lei!"
Maria Sorokin, una cara vecchia amica di Gilmour che lui aveva rincontrato inaspettatamente durante l'assemblea. Una bella donna russa di mezza età, molto simpatica e dalla risata trascinante, specializzata in biochimica e in neurochirurgia. Gilmour fu molto felice di poter passare un po' di giorni con lei, avevano studiato nella stessa università e molti ricordi erano riaffiorati durante il loro incontro imprevisto.
"Lei potrebbe visitarti e curarti!" aggiunse Bretagna, ma Françoise s'era già incamminata in direzione della stanza della dottoressa.
Bussò solo una volta, subito Maria Sorokin aprì affacciandosi all'uscio.
"Oh, Françoise accom... Mio dio! Françoise, ma cosa ti è successo?" chiese guardandola.
"Possiamo entrare?" Le dava fastidio l’evidenza dei lividi sulla sua pelle, più del dolore che provocavano.
"Ma certo, accomodatevi!" li fece entrare a raccontare i pochi ricordi che avevano.
"Dunque.. Gilmour non è qui, vero?"
"No, l'ultima volta che ho visto Isaac è stato alla festa quando mi ha detto che ti accompagnava a prendere un po' d'aria fresca fuori!"
"E' anche uno dei miei ultimi ricordi!"
"Io vi ho aspettato per un po', poi non vedendovi sono uscita in terrazza, ma non c'eravate ed ho pensato che forse non ti sentivi bene e ti aveva accompagnata in stanza, dopo qualche ora sono tornata nella mia camera, non mi piacciono molto le feste affollate, sarei rimasta solo per parlare un po' con lui!"
Françoise abbassò gli occhi sconsolata "Dunque qualcosa è successo... forse l'hanno rapito!"
"Rapito? E perché? Chi può averlo rapito?" chiese la dottoressa stupita.
Françoise e Bretagna si diedero uno sguardo d'intesa, Sorokin non doveva conoscere molto degli studi e della vita di Gilmour dopo l'università.
"E' specializzato in tecniche che fanno gola a molti, ha già subito minacce!" rispose Bretagna.
"Ma forse è presto per allarmarsi, magari è solo uscito?"
"E le ferite di Françoise come le spiega?"
La donna parve rattristarsi, in realtà l’aveva fissata a lungo, un pensiero le era passato per la testa appena l’aveva vista, ma aveva tentato di mascherare la sua preoccupazione davanti alla ragazza "Credo che tu debba essere visitata, non mi piacciono quei segni!"
Françoise riconobbe nei timori della dottoressa i suoi "Non posso andare in ospedale, dottoressa, io non sono una persona normale."
Sorokin la guardò stupita "Che vuoi dire?"
"Mi visiti e lo capirà!"
“Ma io…qui…”
“La prego, solo lei può farlo!” La dottoressa acconsentì non del tutto convinta.
"Françoise mentre ti fai visitare io cerco di rintracciare gli altri!"
Lei si girò di scatto "Sono in missione, Bretagna, non.."
"Gilmour è sparito! Forse rapito! Credo che non ci sia missione più importante di questa!"
Françoise abbassò lo sguardo, aveva ragione lui, ma temeva già ciò che la visita avrebbe confermato, non poteva però mettere a repentaglio la vita di Gilmour per le sue paure.
"Vado, a dopo!"
Bretagna uscì dalla stanza quindi lei si sdraiò sul letto della dottoressa, la quale aveva già preparato gli strumenti per visitarla. Strumenti freddi come il ghiaccio che le provocavano brividi e ansia. Non durò molto, ma le sembrò un'eternità, la risposta in realtà la sapeva già.
"Françoise, tesoro, possibile che non ricordi nulla? Proprio nulla?" la dottoressa aveva un tono dolce e protettivo nei suoi riguardi.
La ragazza aveva le lacrime agli occhi, ma più che disperata pareva infinitamente triste.
"Solo quello che le ho già detto, forse sono stata drogata, forse per questo mi girava la testa… non lo so, sono solo supposizioni!"
"Per scoprirlo dovrei fare un’analisi approfondita, ma mi servirebbe un laboratorio, qui non ho gli strumenti, adatti e..."
"Lasci perdere, è senz'altro così, non avrebbero potuto farmi questo, senza avermi drogata!"
"Ma ...  io continuo a non capire... cosa sei? Insomma..." l'imbarazzo della donna era palpabile.
"Le spiego.... cosa siamo... noi cyborg..."
"Cyborg? Sei un cyborg?"
"Sa cosa sono i cyborg?"
"Si, certo, ma non l'avevo capito, hai detto siamo? Anche Bretagna è un cyborg?"
"Si, e anche gli altri che arriveranno."
"Ora è tutto più chiaro, probabilmente hanno usato una potente droga che ha mandato in tilt le cellule celebrali provocando uno stand by..."
"La prego non mi parli come se fossi una macchina..."
Sorokin la guardò dispiaciuta "Perdonami, non immaginavo di ferirti, non ho mai avuto davanti un cyborg..."
"Lo so!"
Bussarono alla porta
"Bretagna puoi entrare!" disse Françoise.
"Come facevi a sapere che è lui?" chiese la donna vedendolo entrare.
"E' uno dei miei poteri!" rispose la ragazza.
"Stanno arrivando! Ivan li aveva già avvertiti, durante la missione ha cominciato a piangere e ha detto a Joe che qualcosa di grave era successo e che dovevano sbrigarsi!"
"Tra quanto arriveranno?"
"Nel tardo pomeriggio, ma tu come ti senti? Dottoressa, come sta?"
La Sorokin guardò Françoise e poi Bretagna "Sta meglio, le ferite fisiche guariranno in qualche giorno... vi lascio soli, vado ad ordinare il pranzo, avete delle preferenze?"
"Io non ho fame!" rispose la ragazza guardando fuori dalla finestra.
Bretagna ne aveva invece, ma non sapeva cosa ordinare per cui disse "Magari scelga lei!"
"Bene, scelgo io, mangeremo qui, sulla mia terrazza! E tu mangerai con noi Françoise!" così dicendo uscì dalla stanza.
"Allora? Come stai? Ti ha spiegato cos'è successo?"
"Mi hanno drogata!"
"Sì questo l'avevo pensato anche per me... però quei segni? Hai cercato di difendere Gilmour e ti hanno picchiata?"
"No, dubito di essere riuscita a muovere solo un dito!"
"E allora..."
"Sono stata... picchiata... senza un vero motivo..." si rattristò, ma Bretagna parve avere un'illuminazione.
"Françoise.... che ti hanno fatto?"
Gli occhi della ragazza fissi su un vaso sopra a un comodino, la testa svuotata per non fermarsi a pensare, rispose solo "Non dirai nulla a Joe!"
"Cosa? Ma non è possibile, Françoise!"
"Adesso non dirai nulla, per tutti sarò stata solo picchiata, come te, un po' di più perché ero con Gilmour, quando l'avremo ritrovato, allora gli parlerò!"
Bretagna strinse i pugni "Maledetti..."
"Bretagna dobbiamo capire da chi o cosa sia stato rapito, ora dobbiamo pensare solo a lui!"
"Sono stati i Fantasmi Neri!"
"Ma non hanno mai agito in questo modo! E soprattutto se avessero saputo che ero un cyborg... non mi avrebbero... cioè, mi avrebbero rapita o uccisa...ma..."
"Si, hai ragione! Françoise, mi dispiace, avrei dovuto stare più attento, è tutta colpa mia, non potrò perdonarmelo mai!"
"Non dire sciocchezze, non hai nessuna colpa, nessuno di noi sospettava una trappola simile, siamo venuti qui per accompagnare Gilmour a una normale assemblea sulla genetica, non era nemmeno previsto l'intervento del professore che è venuto per curiosità e per trovare spunti su nuove ricerche. Ha chiesto a noi di accompagnarlo perché gli altri erano indispensabili alla missione."
"Sembrava davvero solo una vacanza di piacere in questo bellissimo posto!"
"E' vero..."
"Françoise... io non so cosa fare per te, ma qualunque cosa basta chiedere e corro, capito?"
Lei sorrise al suo amico "Grazie, ma sto bene, credimi!"
Maria Sorokin fece ritorno nella stanza seguita da un cameriere con un carrello sul quale portava moltissime pietanze, apparecchiò il tavolo e poi li lasciò soli. La terrazza dava sul fiume Liffey che divide in due la città di Dublino, in Irlanda. Uno stupendo panorama, in un giorno tristissimo.
Subito dopo pranzo i due cyborg si misero alla ricerca di indizi tra la sala della festa e le camere. Qualche ora dopo si ritrovarono nella stanza della Sorokin.
"Siete riusciti a scoprire qualcosa? Qui purtroppo Gilmour non ha mai chiamato!"
"E' ormai certo che sia stato rapito, non ci avrebbe mai lasciati qui senza avvertirci!" disse Françoise.
"Tu cosa hai scoperto?" chiese Bretagna alla ragazza.
"Non molto, nella sala della festa hanno già pulito tutto, ho trovato un mio orecchino in un vaso nel cortile e il punto dove ti sei risvegliato tu. Non ci sono impronte, né tracce, questo mi fa pensare che siano dei professionisti!"
"Io ho parlato con i camerieri che servivano alla festa. Mi hanno detto che si è svolto tutto normalmente, gli unici alcolici che hanno servito erano dei vini molto pregiati e champagne francese, dicono che solo loro avevano accesso alle cucine e non c'erano nuovi camerieri a servire ieri. Mi hanno anche fatto controllare il libro delle presenze e i dati di ognuno!"
"Sono stati molto gentili!" commentò Françoise.
"Beh a dire il vero mi sono travestito da agente, tirato fuori il tesserino hanno subito collaborato, sono comunque molto disponibili."
"Ma hai detto loro del rapimento?"
"No, ho detto solo che una signora ospite alla festa ha avuto un malore e volevamo controllare cosa fosse stato servito, ma nulla di grave!"
"Bravo!"
"Non capisco perché non avvertiate le autorità del rapimento!" disse la dottoressa.
"Non è il momento, non sappiamo con chi o cosa abbiamo a che fare, dobbiamo stare attenti per l'incolumità di Gilmour!" rispose Françoise.
"Aspettiamo che arrivino i nostri compagni, saranno qui a momenti!" disse Bretagna guardando il panorama davanti ai suoi occhi.

 

Capitolo 2

 

Un piccolo lampo nel cielo sereno di Dublino, per qualcuno solo un aereo che sfreccia lontano, ma Françoise sapeva  che il Dolphin era arrivato. La testa non aveva mai smesso di farle male, sentiva una fitta costante alla tempia sinistra, il suo unico pensiero era ritrovare Gilmour, tenendosi occupata nella ricerca riusciva a non pensare a quello che le era successo, però non poteva fuggire del tutto dalla realtà, ciò che tanto cercava di nascondere a se stessa e agli altri la colpiva alla testa con quel dolore fitto e costante, prima o poi sarebbe esplosa, ma continuava a rimandare a dopo i suoi pensieri, le sue paure.
Seduta sulla terrazza della stanza della Sorokin aspettava, in silenzio, lei le si avvicinò.
"Ne vuoi parlare?" le chiese con un tono molto materno.
"No, la ringrazio, ma non voglio!"
La donna la guardò perplessa poi aggiunse "Io ne voglio parlare, tu ascolta!"
Françoise era un po' irritata, ma stette a sentire.
"Alla tua età... certo non so quale sia in realtà la tua età, ma ecco, avevo 25 anni, ero completamente presa dagli studi che non mi accorgevo di quello che mi girava intorno, soprattutto vivevo in una campana di vetro e non sapevo quale fosse la vera vita. Così una volta laureata mi sono ritrovata in un mondo che non conoscevo e molto, molto presto ho dovuto scontrarmi con una brutta realtà, ho subito, come te, una violenza, da un mio ex compagno di università, rincontrato inaspettatamente dopo un paio d'anni. Purtroppo decisi di non denunciare il fatto, rimasi incinta e puoi immaginare quanto sia stata dura in un paese dell'est tirare avanti con una figlia e senza un marito. Ero discriminata, ma andavo avanti e lottavo, sono stata anche fortunata nella sfortuna, ho avuto amici carissimi che hanno fatto di tutto per aiutarmi. Ma non tutto si cura. Fingevo solo di aver superato e rimosso. Dopo 4 anni seppi che un'altra mia ex compagna di studi era stata violentata da lui e non riuscì a perdonarmelo, se solo lo avessi denunciato non avrebbe più fatto male a nessuna e invece chissà a quante lo fece ancora. Così mi diedi da fare per mandarlo in galera, non sto a raccontarti tutto, ma alla fine siamo riuscite a incastrarlo, io e altre 3 ragazze che avevano avuto la stessa terribile esperienza. Sono stata in cura qualche tempo per superare veramente tutto e finalmente vivere serena con mia figlia. Ma quel rimorso c'è sempre!"
Françoise che aveva ascoltato in silenzio la storia della dottoressa disse: "Capisco cosa sta cercando di dirmi, ma io non posso fare nulla, per denunciare ci vogliono prove e io come potrei provare che sono stata drogata e violentata? Scoprirebbero che sono un cyborg e la mia deposizione verrebbe archiviata perché tutti credono che sia un robot e un robot non può soffrire, anzi mi deriderebbero. Non faranno nulla per trovarlo e non so nemmeno io cosa o chi cercare. L'unica cosa che posso fare è liberare Gilmour e se la sparizione è veramente collegata alla violenza che ho subito allora troverò il colpevole e..."
"E cosa farai?"
Françoise scoprì una voglia inaspettata di vendetta pervaderla, respirò profondamente e disse: "Farò ciò che è giusto fare!"
“E cosa è giusto, Françoise?”
Abbassò la testa e disse: “Non lo so cosa è giusto, ma qualcosa farò!” rialzò lo sguardo, ma era assente, sentiva dei passi avvicinarsi, due voci parlare, le distingueva benissimo, quindi aggiunse “Sta arrivando Joe, mio marito, la prego, quello che è successo rimarrà tra me, lei e Bretagna!”
La donna annuì vedendo la porta della sua stanza aprirsi.
“Sono qui!” fece appena in tempo a dire Bretagna che una mano spalancò la porta “Un po’ di calma, mica scappa” ironizzò facendo passare l’amico che nemmeno lo sentiva. Joe andò subito incontro a Françoise pronta ad accoglierlo con un sorriso tirato su ad arte.
“Ero così in agitazione… come stai?” le chiese con tutta l’apprensione di un uomo innamorato.
“Sto bene, solo qualche graffio, sta tranquillo, ne ho viste di peggiori!” sorrise ancora.
“Qualche graffio? Guarda che livido! Ma me la pagheranno!” le accarezzò il viso delicatamente per non farle male.
“Non sei carino però! Anche io ho lividi, ma non ti sei preoccupato poi molto!”
Joe guardò Bretagna, poi scosse la testa “Ma perché ti sto ancora a sentire?”
“Ah! Come fareste senza di me!” disse uscendo.
Françoise avrebbe voluto ringraziarlo, con la sua battuta era riuscito a sdrammatizzare il momento e a far diminuire l’attenzione su di lei, ma ora non poteva.
“Joe, ti presento la dottoressa Maria Sorokin! Bretagna ti ha già parlato di lei, vero?”
“Si, molto piacere dottoressa! La ringrazio per essersi presa cura di Françoise e Bretagna.”
“Era il minimo che potessi fare!” gli diede una pacca sulla spalla destra.
“Joe, ci sono novità? Ivan è riuscito a trovare Gilmour?” chiese Françoise.
“No, è sparito dicendo che ci avrebbe ricontattati appena avrebbe avuto notizie utili!”
“E ora cosa facciamo?”
“Partiamo da quello che abbiamo!”
“Non abbiamo nulla, le tracce lasciate in albergo sono minime”.
“Ma è già qualcosa e poi cominceremo a lavorare sui vostri ricordi, forse qualcos’altro uscirà fuori, dobbiamo esaminare le schede degli invitati alla festa!”
Françoise non ci aveva pensato o forse aveva rimosso inconsciamente la possibilità di vedere il suo possibile carnefice attraverso le foto degli invitati. Rischiava di prendersela con uno piuttosto che con un altro solo per qualche vizio nel suo profilo o per un viso particolarmente antipatico. Non era una persona da facili pregiudizi, ma in questo momento era sotto shock e non poteva fidarsi di se stessa e dei suoi giudizi. Tuttavia comprese che doveva aiutarli. L’unica cosa importante era ritrovare Gilmour.
“Dottoressa, lei conosceva tutti i professori presenti sia all’assemblea che alla festa?”
“Ne conoscevo molti, anche solo per fama, ma non potevo conoscere tutti gli invitati!”
“Partiremo da quelli che lei conosce!” disse Joe.
“Si può?” fece capolino Jet dalla porta.
“Certo che potete!” disse Françoise sapendo che oltre la porta c’erano tutti i loro amici venuti a sincerarsi delle sue condizioni. Cenarono tutti insieme nella terrazza della professoressa pianificando i movimenti per il giorno dopo.

 

Capitolo 3

 

Chiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò, trasse un lungo sospiro ad occhi chiusi, poi li riaprì. La stanza era in ordine, non aveva pensato che in albergo le stanze vengono automaticamente ripulite ogni giorno, dovevano aver aspettato il pomeriggio visto che la mattina si era alzata tardi e dopo pranzo era ancora in disordine. Un altro spicchio di indizi andati all’aria, pensò, ma non sapeva se esserne triste o felice. Poi rifletté che poteva essere stato Bretagna a sistemare, si stava prendendo cura di lei, anche in quel momento, mentre andava via dalla stanza della Sorokin dicendo di essere stanca, lui aveva trattenuto Joe chiedendogli ancora dettagli su quello che avrebbero dovuto fare l’indomani. Poteva sentirli, ma doveva sbrigarsi, doveva essere a letto prima dell’arrivo di Joe. Si lavò in fretta, si mise un pigiama di seta blu scuro che la copriva interamente e si coricò nel letto. Quando Joe entrò nella stanza buia la vide dormire. Era dispiaciuto, avrebbe voluto parlarle un po’, aveva letto nei suoi occhi tanta tristezza e voleva sapere cosa la turbava oltre al rapimento di Gilmour, ma non volle svegliarla. Aprì silenziosamente la valigia che aveva con sé. Si cambiò anche lui e si distese nel letto accanto a lei. Come sempre faceva quando la trovava addormentata e stanca cominciò ad accarezzarle i capelli profumati, lei era girata su un fianco dandogli le spalle. Anche Joe era stanco, quindi si rigirò, ma nel farlo sfiorò appena il braccio di Françoise in un punto dove c’era uno dei lividi più brutti, probabilmente l’avevano stretta molto forte portandola nella sua stanza. Lei ebbe una scossa di dolore che trattenne a fatica, soffocò un gemito sul nascere, strinse i denti e gli occhi. Joe non si accorse di nulla, ma una lacrima le scese, scivolando sulla pelle liscia e vellutata e bagnando le sue labbra e il cuscino.

“Ehi! Amico mio, cosa ti turba?”
Bretagna si voltò guardando negli occhi Chang, avevano diviso la stanza, non ne erano disponibili molte nell’albergo, s’era alzato il vento, appoggiato alla sua terrazza, diede nuovamente le spalle all’amico rispondendo “Nulla, sto prendendo solo un po’ d’aria!”
“Come puoi pretendere che ti creda?”
“Tanto non mi credete mai! E comunque non ho nulla!”
“Da quando siamo entrati qua non hai fatto la minima battuta, ti sei ammutolito e sarà mezz’ora che te ne stai qui a guardare il fiume senza parlare. Siccome io credo di conoscerti un po’ meglio degli altri sono convinto che nemmeno le battute che facevi a cena stasera erano spontanee!”
Bretagna sentiva di crollare, ma Chang continuò “Io ti capisco, amico! Hai paura per Gilmour, vero? Ne ho paura anche io! Da quando ci ha avvisati Ivan mi sono sentito perso, lo dobbiamo ritrovare in fretta! Non dovresti mascherare le tue emozioni.”
Si sentì sollevato per un attimo, sorrise all’amico e disse “E’ vero, sono molto preoccupato, Gilmour è un padre per me come per te e gli altri, credo che per tutti sarà una notte difficile!”
Chang non l’aveva mai visto così serio “Dai amico, sta bene, me lo sento, Ivan lo troverà!”
“Si, lo troverà!” rispose rientrando nella stanza.

 

Gilmour si risvegliò in una camera tutta bianca, sembrava la stanza d’isolamento di qualche manicomio vecchio stampo. L’interno era foderato di moquette bianca e non c’erano mobili di alcun genere. Era seduto a terra, un po’ indolenzito, ma stava bene. Si guardò i polsi, gli avevano levato l’orologio radiotrasmittente, non avrebbe potuto mettersi in contatto con i suoi ragazzi, poteva solo aspettare e questa cosa non gli piaceva per niente, ma aveva fiducia in loro, l’avrebbero certamente ritrovato presto!
Dalla porta in fondo alla stanza provenne un cigolio, si voltò a guardare, ma non si aprì. I suoi pensieri andarono a Françoise e Bretagna, cosa era successo a loro? Erano stati catturati? Erano riusciti a fuggire? E chi avrebbe avvisato gli altri in missione? Poteva solo sperare che stessero bene. Pensò ad Ivan, forse sapeva già tutto, forse no! Gli sembrò inutile tormentarsi con quelle domande, ma non poteva fare a meno di pensare a loro. Sperava che qualcuno entrasse da quella porta, se non altro per cercare di capire cosa realmente fosse successo, tuttavia rimase solo a lungo, immerso nel bianco irritante di quella stanza vuota.

Dopo ore di infinita attesa, quando ormai si sentiva sopraffatto dal sonno e dalla stanchezza, finalmente vide una figura attraversare la porta rapidamente aperta e richiusa dietro le sue spalle. Una figura vestita di bianco che trasportava un vassoio, fece molta fatica per metterla a fuoco e capire che si trattava di una donna.

“Chi sei? Dove mi trovo e perché mi trovo qui?” chiese Gilmour.
La donna lo guardò senza la minima espressione, gli porse il vassoio con delle pietanze, soprattutto legumi lessi e una caraffa d’acqua fresca, poi si sedette a gambe incrociate davanti a lui, continuando a guardarlo.

“Hai capito cosa ti ho chiesto?”
“Stai tranquillo, non ti faremo del male!”
Gilmour perplesso incalzò “Allora perché mi trovo qui?”
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”
“Del mio aiuto?”
“Noi siamo la comunità degli “Angeli spirituali”, viviamo in segreto all’interno del bosco a sud di Dublino, nell’antica fortezza celtica abbandonata che nessuno da anni sa più ritrovare. L’abbiamo trovata noi e ne abbiamo fatto il nostro rifugio. Viviamo lontani dalle perdizioni del mondo, dalla cattiveria…”
“Vivete fuori dal mondo!”
“Il tuo tono non è cordiale!”
“Non critico le vostre scelte di vita, fate come volete, ma cosa c’entro io?”
“Sappiamo che sei uno dei massimi esponenti della genetica, dopo il tuo intervento all’assemblea ci siamo documentati, sei specializzato in cibernetica, vero?”
“Perché volete saperlo?”
“Rispondi!”
“Dovreste saperlo già se siete documentati!”
“E’ una risposta affermativa?”
Gilmour non rispose.
“Non fa nulla, lo sappiamo già, hai ragione!”
“Cosa volete da me? Io per voi dovrei rappresentare il demonio per quello di cui mi occupo, perché avete bisogno di me!”
“In effetti tutti quelli come te che fin’ora hanno stravolto le leggi della natura sono demoni, ma agli occhi della gente è difficile dimostrarlo, se non con i vostri stessi mezzi!”
Gilmour la guardò, aveva capito dove stava arrivando e gli faceva paura.
“Capisci? Sono anni che cerchiamo di sensibilizzare il mondo contro la mostruosità delle vostre ricerche, il vostro continuo deformare l’umanità, la gente prova orrore per voi, ma vi teme e subisce in silenzio. Dobbiamo ribellarci!” si era fatta prendere troppo dall’enfasi, respirò profondamente e poi riprese a parlare “Tu farai un nuovo esperimento, un mostro che impaurirà il mondo e che solo noi potremmo fermare. Tutti capiranno finalmente il male che procurate, capiranno che possono ribellarsi. Troveremo tutte le vostre orribili creature e le distruggeremo una a una. Il mondo sarà salvo!”.
“Ci sono scienziati che usano la loro intelligenza per scopi poco dignitosi e spesso malefici, ma non è così per tutti, la maggioranza cerca di migliorare questo mondo non di distruggerlo!”
“Chiacchiere, volete solo incantarci!”
“Dovresti fidarti di me…”
“Di te? Proprio di te? Che hai creato 9 mostri, com’è che li chiamate? Cyborg! Si, cyborg! Esseri mostruosi capaci di uccidere ogni uomo innocente su questa terra!”
“Non potrebbero mai uccidere un innocente! Non sono mostri, ma dei ragazzi proprio come te!”
“Io non posso sollevare carri armati, non posso vedere a km di distanza, correre a super velocità, non ho coltelli e missili nei miei arti, non modifico i miei tratti a piacimento, non sputo fuoco e non respiro sott’acqua, non mi teletrasporto dove voglio, non so volare”
“Sono umani, soffrono come te e hanno sacrificato la loro vita per difendere anche quelli come te che li giudicano dei mostri!”
“Follie! Sono robot, sono mostri! Ci dirai dove sono nascosti, ma ora non è il momento, prima devi crearne uno solo per noi!”
“Non farò mai una cosa simile!”
“Cederai, prima o poi, cederai!” disse alzandosi, un attimo prima di aprire la porta e scomparire aggiunse “Dovresti solo vergognarti per quello che hai fatto!”.

Solo, nella stanza, Gilmour rifletté sulle parole di odio di quella ragazza, parole di una persona al limite della follia. Eppure qualcosa aveva toccato nella sue corde, la vergogna esisteva, la colpa di aver rovinato nove vite per sempre lo tormentava da tanto tempo.

 

Capitolo 4

 

Si era alzata diverse volte durante la notte, non riusciva a chiudere occhio, sempre attenta a non svegliare Joe, nonostante avesse un gran bisogno di sfogarsi con lui, ma non poteva distrarlo dalla missione, doveva resistere.
Si sedette su una poltroncina accanto alla vetrata della terrazza. Guardando fuori per cercare di distrarsi. Il fiume scorreva calmo e silenzioso e questo le dava quasi fastidio.
Alla luce della luna guardò il livido sul braccio, ma appena sentì Joe rigirarsi nel letto abbassò la manica.
“Françoise, non ti senti bene?” chiese lui tirandosi su con la schiena per vederla meglio.
“Ti ho svegliato, scusami!” rispose lei.
“No, non mi hai svegliato, tu, piuttosto, perché non riesci a dormire?” si era alzato dal letto e seduto sullo spigolo della poltroncina di Françoise le accarezzava lievemente il viso.
“Sono agitata per Gilmour!” ed era una parte di verità infondo, era molto agitata per lui, oltre che per quello che le era successo.
“Anche io! Ma solo riposando saremo utili domani nella ricerca! Così non aiutiamo né lui né noi”.
“Lo so, ma voglio solo stare un po’ così, vedrai che mi verrà sonno!”
Joe guardò la sveglia sul comodino, erano già le 4 del mattino “Tra due ore dovremmo svegliarci, ormai la notte è andata!”
“Torna a dormire” disse sorridendogli.
“Non ci riuscirei più!”
“Scusa, è colpa mia!”
“La smetti?” disse prendendole il viso delicatamente tra le mani “Mi sei mancata!”
Françoise arrossì “Esagerato! Non è la prima volta che siamo lontani per qualche giorno!”
“Quindi non ti sono mancato?” chiese un po’ stizzito.
Lei sorrise “Certo che mi sei mancato!”
“No, no, non vale mica così. Lo dici solo per farmi contento!”
“Joe, ma che dici?”
“Ti dovresti far perdonare!”
Françoise si accorse presto dove voleva arrivare e cercò di cambiare il discorso. Gli diede un bacio e disse alzandosi “Due ore sono poche per riposare, ma è sempre meglio di niente, è il caso di provarci, non credi?” poi si sdraiò sul letto e si coprì con il piumone.
Joe un po’ sconsolato la seguì, la coprì rimboccandole le coperte e disse “Cerca di riposare, amore mio!” le diede un bacio delicato sulla guancia, poi tornò anch’esso a dormire. Due ore possono essere lente a passare se non si riesce a dormire, ma ogni cosa ha un inizio e una fine e anche il mattino dovette arrivare.

“Da dove partiamo?” chiese un agitatissimo Jet a Joe. Erano tutti nella stanza di Gilmour. Françoise, Punma e Chang seduti ai bordi del letto, Jet, Joe e Albert seduti a un tavolino, Bretagna e Geronimo in piedi passeggiavano nervosamente.
“Questo albergo è stato controllato a fondo… credo sia il caso di cercare in città!”
“Non ha senso, non abbiamo il minimo indizio!” lo interruppe Bretagna.
“E che idea hai te? Restare qui ad aspettare che torni da solo?” ruggì Albert.
“Potrebbe non essere nemmeno più in questa città!” replicò Chang.
“Allora torniamo a casa no? Dimentichiamoci del Professore!”
“Io non ho detto questo, Jet!” rispose Bretagna.
“Basta! Non mi sembra il caso di litigare fra di noi!” Disse Françoise decisa.
“Lascia stare, pensano che la colpa sia mia e hanno ragione!” Così dicendo Bretagna uscì dalla stanza sbattendo la porta, Jet e Albert si guardarono dispiaciuti.
“Non potete nemmeno immaginare cosa ha… …abbiamo passato in questi giorni, non è colpa nostra se Gilmour è stato rapito, non dovreste farlo pesare a lui!”
“Non l’abbiamo mai pensato, Françoise!” intervenne Joe.
“Forse non lo avete pensato di me, ma le continue accuse a Bretagna ci sono state, lasciatelo in pace, si sente già in colpa ingiustamente da solo!” così dicendo si alzò dal bordo del letto e s’incammino verso la porta, prima di uscire disse “Io vado a parlargli, nel frattempo provate a mettervi in contatto con la ricetrasmittente di Gilmour o con Ivan, sono le uniche due speranze che abbiamo!” spalancò la porta ed uscì lasciando gli altri un po’ confusi.
Joe scosse la testa “Se solo avessimo un minimo indizio…”
Jet si cacciò la testa fra le mani a sorreggerla “Avranno una base da queste parti, dobbiamo solo trovarli e…”
“Ma Françoise non ha notato alcun cyborg alla festa, lei non è convinta che dietro a questo rapimento ci sia il Fantasma Nero”
“Chi altro avrebbe interesse a rapirlo?” Chiese Albert
“Non lo so…” rispose Joe guardando fuori dalla finestra.
“Sentite, io mi metto a lavorare alla radiotrasmittente, cercherò anche il più piccolo segnale!”
“Va bene, Punma, tienimi informato!” disse Joe mentre l’amico usciva dalla stanza.
“E noi cosa facciamo? Stiamo con le mani in mano?” chiese Jet.
“Jet… sorvola la città, cerca posti isolati anche in periferia! Albert e Geronimo voi invece prendete la macchina e fate un giro della città… raccogliete qualsiasi informazione, anche la più banale, non si può mai sapere!”
“Bene!” rispose Jet.
“Io, Françoise e Bretagna cercheremo qui nei dintorni dell’albergo. Mi raccomando rimaniamo in contatto per aggiornarci! Chang tu dai una mano a Punma, va bene?”
“Certo!”
“Bene, ci vediamo qui per cena! A più tardi!”
“A più tardi!” risposero gli altri allontanandosi!

 

Capitolo 5

 

“Non è colpa tua!”
Bretagna si voltò di scatto pur sapendo benissimo chi fosse a parlare “Lo è invece!”
Françoise gli si sedette accanto “Non è vero e lo sai, sentirti in colpa non ti aiuterà!”
“Ho sempre questa cavolo di smania di giocare, sono un ragazzino, hanno ragione a trattarmi male, se avessi preso tutto più seriamente non sarebbe successo nulla”
“Sarebbe successo anche se ci fossero stati tutti qui e io non vorrei che tu fossi serioso, c’è bisogno delle tue battute per sopportare quello che normalmente siamo costretti a vivere!” gli disse accarezzandogli la guancia.
“Prendi molto seriamente le tue missioni Bretagna, io lo so, ciò che mostri non è ciò che provi, ognuno di noi ha il suo modo di affrontare la paura, la sofferenza, l’ansia… tu l’affronti con ironia e non è affatto un difetto, almeno non lo è per me! Certe volte vorrei proprio imparare a sdrammatizzare come fai tu!”
“Sono solo irritante!”
“Tu ci regali sempre un sorriso, non ti ringraziamo mai abbastanza!”
Bretagna aveva gli occhi lucidi “Joe mi odierà quando saprà… mi odio già io da solo…”
Françoise appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi “Mi fanno molto più male queste tue parole che ciò che mi è successo!”
Bretagna si voltò a guardarla “Non posso non sentirmi in colpa per te, forse hai ragione a dire che Gilmour sarebbero riusciti a rapirlo comunque, ma a te probabilmente non sarebbe successo nulla se fossi stato più attento o se ci fosse stato Joe con te…”
“Sarebbe successo lo stesso e tu comunque non puoi pensare a ciò che poteva o non poteva accadere. Basta! Bretagna io ho bisogno di dimenticare e vedere la colpa sul tuo viso non mi aiuta! Tu non hai nessuna colpa, anzi io posso solo ringraziarti per il semplice fatto che mi stai aiutando a gestire questa situazione con gli altri!” gli prese le mani e guardandolo negli occhi disse “Amico mio… ti prego, basta! Fallo per me, concentriamoci su Gilmour e dimentichiamo tutto il resto, ora è lui che ha bisogno di noi, io sto bene!”
Bretagna annuì.
“Ti voglio bene, Bretagna, sei un amico speciale, non dimenticartelo!” aggiunse e si abbracciarono.
“Avrei dovuto sostituirmi a Joe al matrimonio!” scherzò col suo tono Bretagna.
Françoise sorrise serena “Lo sapevo che t’era venuta la tentazione” [………………]
“Scusate, posso?” Joe si sedette sulle ginocchia davanti a loro “Bretagna scusaci se ti abbiamo in qualche modo fatto pesare qualcosa, non era nostra intenzione te lo assicuro, a nome di tutti!”
“Si, beh… ero nervoso e ho reagito d’istinto, davvero… ora è tutto apposto!”
Françoise sorrise soddisfatta e chiese “Ci sono novità?”
“Ci siamo divisi nella ricerca, Punma e Chang stanno cercando con la radiotrasmittente e gli altri stanno perlustrando la città, magari noi potremmo controllare nuovamente nei paraggi dell’albergo, che ne pensate?”
“Beh, non è una cattiva idea, magari andiamo noi due, Françoise tu con il tuo mal di testa non è meglio se ti riposi un po’?”
La ragazza guardò un attimo perplessa Bretagna, ma capì subito “In effetti mi gira la testa, ma forse è meglio che venga…”
“No, no… se non ti senti bene vai in albergo, magari puoi essere d’aiuto a Punma” disse Joe premurosamente.
Françoise sorrise “Va bene, allora vado a riposarmi un po’, ma fatemi sapere tutte le novità” diede un bacio a suo marito e fece un occhiolino sfuggente a Bretagna prima d’incamminarsi verso la sua stanza.
Joe la seguì con lo sguardo, era preoccupato, ma non capiva per cosa, sospirò poi disse all’amico “Andiamo?”
“Certo!”
Cominciarono dagli scantinati dell’albergo e degli edifici limitrofi, ma non trovarono alcun indizio, stanchi si appoggiarono contro la parete di una cantina e rimasero fermi e silenziosi lì per qualche munito, fu Joe a sciogliere il silenzio.
“Bretagna… devo chiederti una cosa!”
Bretagna si voltò a guardarlo e disse “Dimmi!”
“Te lo chiedo perché sei la persona che è stata più a contatto con lei in questi giorni… Io… sono un po’ preoccupato, anche se non ne capisco il motivo, ma è strana, mi sembra così… così triste… è successo qualcosa…?”
“E’ solo preoccupata per Gilmour”
“Ne sei sicuro?”
“Diciamo che sono sicuro che lei adesso sia concentrata solo sul suo ritrovamento”
Joe rimase qualche attimo perplesso “Altrimenti ci sarebbe altro a impensierirla?”
“Ehi, senti non sono uno psicologo, però sono convinto che adesso sia concentrata solo su questo, magari cerca di non pressarla troppo, vedrai che quando quello che viviamo oggi sarà solo uno spiacevole ricordo ti dirà ciò che la preoccupa… se c’è qualcosa che la preoccupa, perché io non so nulla!”
“Mi stai confondendo!”
“Beh, ma tu pretendi che sciolga io i tuoi dubbi…io? Che sono solo un attore un po’ scemo!”
Joe sorrise “Va bene…! Rimettiamoci a lavoro!”
“Bene!”

 

Capitolo 6

 

“Punma, Chang… ditemi che ci sono novità!”
“No, Françoise, nessuna. La ricetrasmittente di Gilmour è stata sicuramente disattivata.”
“Nemmeno Ivan?”
“Impossibile trovare un suo segnale!”
“Ivan, ma dove sei?”
“Penso che stia cercando Gilmour con tutte le sue forze!”
“Sì, lo credo anche io, però potrebbe informarci!” scosse la testa “Ragazzi io vado a stendermi un po’, mi gira la testa, per favore avvertitemi se ci sono sviluppi!”
“Certo, Françoise!” rispose Chang!

Si ritirò nella sua stanza, era molto debole, Bretagna senza saperlo le aveva fatto molto più di un semplice favore, non avendo chiuso occhio tutta la notte non sarebbe riuscita a far nulla di buono oggi. Appena si stese sul letto crollò in un sonno molto profondo e in un sogno strano…

“Piove, Accidenti! Proprio oggi che volevo portare Ivan al mare, mi dispiace! Beh… devo inventarmi qualcosa, sta sempre chiuso a casa, che posso fare? Gli preparo il suo dolce preferito… eh però per quando si sveglierà se lo saranno già finito tutto… uffa cosa posso fare? Idea! Cappellino, giacchetta e ombrello, lo porto in città!” Il sogno procedette, in una strada bagnata di pioggia Françoise passeggiava portando Ivan in un marsupio dietro le spalle. Il piccolo sorrideva felice dietro al succhiotto, ad un certo punto indicò una vetrina piena di giocattoli “Cos’è quello?” chiese piano affinché solo lei potesse sentirlo, Françoise si voltò a guardare una grossa scatola di legno “Andiamo a vedere!” rispose.
Il negoziante disse che si trattava di una scatola di vecchi giocattoli di legno, tra cui cubi e trenini, trottole. Ivan ne era incuriosito quasi come se gli ricordassero qualcosa del suo passato, alcuni cubi avevano incise lettere in cirillico. Françoise lo posò a terra sulla moquette blu del negozio “Vorrei comprarla, guardi dietro l’angolo c’è la mia macchina vado subito a posarla lì senza farmi vedere da Ivan può distrarlo 5 minuti?”
“Certo, non si preoccupi, bado io al suo bambino!” rispose il giocattolaio.
Françoise [………………]
Poco dopo rientrò nel negozio e prese in braccio Ivan “Andiamo?” lui annuì con la testa, Françoise comprò anche una macchinetta di legno che gli porse “Ti piace questa?” Ivan sembrava piuttosto contento. La pioggia ricominciò a farsi fitta quindi si riavviarono verso casa. Nella sua stanza Ivan trovò la scatola piena dei giochi che gli piacevano tanto, sorrise a Françoise che lo teneva in braccio “Grazie!” disse.
“Ti piaceva tanto!”
“Grazie per tutta la bellissima giornata!”
“Smettila, non ho fatto nulla!” disse posandolo nel suo box insieme ai giocattoli.
“Françoise forse l’ho trovato!” disse ancora il piccolo indicando un giocattolo.
“Cosa hai trovato Ivan?” rispose lei perplessa.
“Gilmour!”
“Gilmour è di là…” ma subito si rese conto di essere entrata in un’altra dimensione del sogno, più vicino alla realtà “Ivan, ho capito,dove sei?”
“Sono sospeso nello spazio tempo, non sono in nessun luogo!”
“Perché?”
“Ho impiegato tutte le mie forze per cercarlo e non riesco per ora a tornare indietro, posso però comunicare con te”
“Ma tornerai?”
“Non dovresti preoccuparti per me, quando mi sarò riposato abbastanza tornerò sicuramente, ora però devi ascoltarmi!”
“Certo, dimmi!”
“Ho individuato dove si trova, c’è un’antica Fortezza a sud di Dublino, nascosta da secoli in un fitto bosco, è difficilissimo trovarla perché ormai è quasi tutta ricoperta dalla stessa foresta, piante rampicanti ne sbarrano il passaggio, ma tu potrai facilmente trovarla. Lì vivono degli esaltati naturalisti, vogliono il bene del pianeta, ma usano metodi assurdi, hanno chiesto a Gilmour di fabbricare un cyborg che metta paura alla gente in modo da sensibilizzarla distruggendolo loro. Ovviamente Gilmour s’è rifiutato e ora è in pericolo!”
“Quindi non c’entrano i fantasmi neri?”
“Non direttamente, ma temo che alcuni membri di questa organizzazione nascondano un'altra motivazione e un qualche accordo esterno!”
“Tu sei in contatto con lui? Ci hai parlato?”
“Ci sto provando!”
“Va bene, non ti stancare più, ora mi sveglio e riferisco agli altri!”
“Françoise…”
“Dimmi”
“Perché ti preoccupi così per me? Perché ti preoccupi sempre di tutti e mai di te?”
Il sogno svanì come una bolla di sapone che si infrange contro il nulla in tante piccolissime, minuscole bollicine che quasi sembrano polvere per quanto sono fitte.
Ma un altro sogno prese forma nell’oscurità, un sogno che sapeva di incubo, che sapeva di dolore. Un volto, due occhi pieni di pazzia e cattiveria e una risata, che la fece rabbrividire.
“Ehi…baby…che carina che sei…”
“Ahhhhhhhhhhhhh” urlò.
“Françoise!” cercò Joe di svegliarla scotendola delicatamente.
“No… nooo… vai viaaaa, lasciami… non toccarmi, viaaa!” si dimenava tra le braccia di Joe come in quelle del suo aggressore, quasi non riusciva a trattenerla.
“Françoise… Françoise svegliati!” disse preoccupato mentre lei lentamente riapriva gli occhi gonfi di lacrime e il respiro affannato cominciava a tranquillizzarsi, lentamente cedette rendendosi conto di aver solo sognato.
“Joe… Dove siamo?” disse vedendolo.
“Nella tua stanza, sono venuto a vedere come stavi e ti ho vista agitarti nel sonno, quando hai cominciato ad urlare ti ho svegliato!” rispose accarezzandole la fronte “Hai avuto un incubo?”
“Credo, non so, non ricordo più nulla!”
Joe la strinse a sé “Che cosa ti preoccupa?” le chiese, ma lei rimase in silenzio lasciandosi abbracciare.
“Ci sono novità?” dopo qualche minuto lei cambiò discorso scotendo un po’ la testa cercando di cacciar via i pensieri e i sogni…
“No, la ricetrasmittente di Gilmour è stata disattivata e di Ivan nessuna traccia!”
“Ivan! Certo Ivan, mi ha detto dove si trova Gilmour!”
“Cosa?”
“Sì, andiamo dagli altri, presto, so dov’è Gilmour!”

 

Si avviarono velocemente nella stanza del professore dove erano già tutti riuniti e lei spiegò in breve le informazioni ricevute in sogno da Ivan!
“Ho sorvolato quella foresta e non visto nulla!”
“Lo so Jet, Ivan mi ha detto che è impossibile trovarla ad occhio nudo!”
“Mettiamoci subito in moto!” disse Albert.
“Tra poco sarà notte e siamo tutti stanchi, andiamo a riposare, partiremo domani alle prime luci dell’alba!”
“Va bene, Joe!” disse Bretagna.
Presto tutti uscirono dalla stanza e si avviarono nelle loro camere, solo Françoise e Joe erano rimasti, lei guardava fuori la notte scendere, lui le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, sentì la sua pelle irrigidirsi in un brivido mentre la sfiorava, disse “Perché non mi parli? Se ti sfogassi forse potrei aiutarti!”
“Joe, ti fidi di me?”
“Che domande fai, certo che mi fido!”
“Allora, ti prego, non farmi domande, quando avremo ritrovato Gilmour ti parlerò di quello che oggi mi turba, te lo prometto, ma ora voglio pensare solo a lui!”
Joe annuì “Non ti farò domande, ma ricordati che sarò sempre al tuo fianco qualunque cosa accada!”
Questa frase le risuonò in testa tutta la notte come un messaggio in codice da svelare, come se lui avesse capito e glielo abbia voluto dire con una sola frase perché potesse stare meglio! Ma non poteva aver capito altrimenti non sarebbe mai stato così tranquillo!
Finalmente si addormentò fra le sue braccia che le davano un forte senso di protezione. Le braccia dell’uomo che l’ama e che la protegge senza chiedere da cosa o da chi e si sentì nuovamente tranquilla e serena!

 

Capitolo 7

 

C’era qualcosa che ancora non tornava nei pensieri di Joe, vedeva sua moglie dormire e non la riconosceva in quell’espressione triste che aveva assunto nel sonno. La guancia poggiata sul cuscino forzava un sorriso che non era il suo. Qualcosa la faceva stare male eppure lui ne era all’oscuro.
Doveva fidarsi e si fidava, ma vederla stare male lo rendeva inquieto, a cosa valeva la promessa di proteggerla nella buona e nella cattiva sorte se lei ora non si confidava con lui e non gli permetteva di aiutarla?
Lentamente scivolo via dalle coperte, cercando di non svegliarla, si rivestì, non era tardi, l’orologio segnava appena le 23.30, la guardò un’ultima volta prima di uscire assicurandosi che non fosse sveglia, poi scomparve oltre la porta.
Nel corridoio c’era abbastanza movimento, nel salone dell’albergo davano ogni sera una festa o un convegno ed era normale che i vari invitati e i clienti a quell’ora fossero svegli e alcuni anche un po’ brilli.
La sua attenzione fu richiamata dalle urla di una ragazza oltre una porta semi aperta, insospettito bussò chiedendo “C’è qualche problema?”
Un botto e qualcosa si ruppe in mille pezzi nella stanza, ci fu un urlo nuovamente e Joe si decise ad entrare.
La ragazza piangeva stesa sul letto svestita, la finestra era spalancata, un vaso di fiori rotto per terra.
“Cos’è successo?” le chiese.
“Un uomo ha cercato di violentarmi è fuggito dalla finestra grazie a voi!”
Joe si affacciò di corsa alla finestra, un paio di metri sotto c’era il cortile dell’albergo, ma non vedeva nessuno là fuori, si girò verso la ragazza e cercò di tranquillizzarla “E’ andato via, state calma, ora chiamo la polizia!”
In quel momento Françoise e Maria Sorokin entrarono nella stanza come molti altri clienti incuriositi dall’urlo “Joe che è successo?” chiese la dottoressa.
“Qualcuno ha tentato di violentare questa ragazza, adesso è sotto shock, ho chiamato la polizia!”
“Oh… anche lei!” si lasciò sfuggire la donna mentre il volto di Françoise era impietrito e il suo sguardo non smetteva di fissare la ragazza tremante e piangente sul letto.
“Ci sono stati altri casi in questi giorni?” chiese Joe incuriosito.
La Sorokin rimase di sasso all’osservazione acuta di Joe “No… no… io anni fa, molti anni fa ho subito la stessa sorte e  mi è sfuggita quella frase!” si giustificò.
“Mi dispiace, scusatemi!”
“Non preoccuparti Joe!” disse vedendo arrivare la polizia.
“Françoise dovresti tornare a riposare, io faccio la mia deposizione e poi ti raggiungo!”
Lei si ridestò come da uno stato di trance, lo guardò e disse “Ma che ci facevi qui? Perché ti sei alzato?” tremava.
“Sono uscito a fare due passi, non volevo svegliarti, amore, che hai? Perché tremi?”
“Nulla… nulla… vado nella mia stanza…” La Sorokin le si avvicinò e si offrì di accompagnarla.
Joe spiegò l’accaduto alla polizia, confermando la versione della ragazza, altri testimoni furono interrogati, dopo un paio d’ore finalmente fu libero di tornare nella sua stanza, ma prima bussò alla porta della dottoressa.
Quando lei aprì non fu troppo sorpresa di vederlo “Prego Joe, accomodati!”
“Mi scusi se la disturbo a quest’ora, ma lei è stata molto vicina a Françoise in questi giorni e io… ho bisogno di sapere cos’ha!”
“Joe…”
“Sì, lo so, lo so benissimo che qualunque cosa abbia le ha chiesto di non dirmelo, ma io non posso darmi pace così, non capisco perché non voglia anche il mio aiuto!” la interruppe prima che potesse dire qualunque cose, si muoveva a scatti nervosi avanti e indietro tra il letto e l’armadio della stanza della Sorokin, le faceva tenerezza, ma non poteva mancare alla promessa fatta, quindi disse “Joe, lei aiuto te l’ha chiesto, ti ha detto di non chiederle nulla finché Gilmour non sarà stato ritrovato e tu è questo l’aiuto che devi darle ora, poi ti assicuro che cercherà il tuo conforto e ti assicuro che a quel punto dovrai vedertela con molti problemi che adesso non immagini, ma devi avere pazienza, devi farlo per lei, perché adesso è questo di cui ha bisogno.”

Joe la guardò perplesso “Non devo sapere nulla, ma perché?”
“Perché altrimenti non l’aiuteresti e non aiuteresti Gilmour, lo so, è difficile da capire, ma io sono sicura che tu potrai farcela ad aspettare!”
Joe strinse le mani in pugni e scaricò la tensione dando un colpo contro la parete della stanza, la dottoressa ne rimase sconvolta, un essere umano normale se la sarebbe fratturata completamente.
“Devo aspettare e aspetterò! Mi perdoni ancora se l’ho disturbata!” disse uscendo dalla stanza, quando arrivò di fronte alla porta della camera di Françoise fece un respiro profondo e la aprì, lei era seduta sul bordo del letto ad aspettarlo con gli occhi stanchi e gonfi.
“Sei sveglia? Devi dormire tesoro mio!”
“Non ci riuscivo senza te!”
“Adesso sono qui, dormi!” le disse abbracciandola, con la mano spense la luce e l’accompagnò sul letto facendola sdraiare. Lei si strinse forte e rimasero così abbracciati tutta la notte.

 

Intanto nella stanza ovattata e bianca Gilmour era nuovamente alle prese con la donna folle ed estremista che l’aveva fatto rapire.
“Preferisce morire di fame o realizzare ciò che le abbiamo chiesto?”
“Domanda stupida!”
“Cosa le costa, è quello che lei fa normalmente! E’ ciò per cui ha studiato!”
“Io non creo robot per uccidere gente innocente!”
“Da dove è sbucata tutta questa moralità professore?”
“Non devo giustificarmi con lei per i miei passati errori!”
“Quanta falsità, se fosse pentito avrebbe distrutto i suoi esperimenti da molto tempo!”
“Non sono esperimenti, sono persone, pensano, soffrono come persone normali!”
“Sono robot che non ci metterebbero più di un secondo ad ucciderci tutti!”
“Con la differenza che non lo faranno, sono molto più umani di lei!”
“Basta! Sono solo storie, bugie! Costruisca il robot per noi e le risparmieremo la vita!”
“Non temo la mia vita!”
“Bene, allora troveremo i suoi tanto amati robot e li distruggeremo se non lo costruirà!”
“Li ucciderete comunque!”
“Basta!” urlò ancora una volta la donna appoggiando le mani contro la parete “Troverò il modo per convincerla!” uscì dalla stanza carica di odio e disprezzo.
“Come posso fare per liberarmi da qui!” Sussurrò il professore a se stesso quando improvvisamente sentì la voce di Ivan nel suo cuore.
“Professore… resista… stiamo arrivando!”
La voce del suo amato Ivan lo fece sorridere… ora si sentiva tranquillo, presto l’avrebbero liberato.

 

Capitolo 8

 

Alle prime ore del mattino i cyborg correvano già silenziosi nella fitta vegetazione, veloci come saette, ma attenti a non farsi scoprire. Françoise indicava la strada secondo le indicazioni fornite da Ivan, era difficile, ma la sua determinatezza e la voglia di mettere una parola fine a tutto quello che era accaduto era più forte di qualunque ostacolo.
Finalmente la vide e fece segno agli altri, erano molto vicini, ora dovevano studiare un modo per riuscire ad entrarci.
“Françoise… c’è qualche congegno di protezione? Infrarossi? Radar?”
“No, Joe, non capto nessun segnale, ma non riesco a sentire nemmeno movimenti all’interno della fortezza, credo che si espanda nei sotterranei!”
Joe diede uno sguardo all’intera costruzione poi disse ”Jet, io e te andremo nella parte alta, vediamo se da lì si può entrare, voi altri rimanete qui finché non saremo tornati!”
Annuirono tutti mentre Jet prendeva Joe sotto le spalle e lo sollevava da terra in direzione della torre della fortezza.
Françoise li vide andar via e mentre gli altri attendevano il loro ritorno concentrati in assetto di difesa, lei si allontanò lentamente cercando di non farsi sentire, ma mentre era già quasi vicina al cancello in ferro battuto corroso e semi distrutto dal tempo, una mano le afferrò la spalla. Lei si voltò di scatto con il laser puntato.
“Aspetta… aspetta… non vorrai mica spararmi?”
“Bretagna… che ci fa qui?”
“Tu… che ci fai qui?”
“Lasciami andare, ho un conto in sospeso!”
“Lo sai bene quanto me che potrebbero non essere responsabili di quello che è accaduto a te, potrebbe essere una coincidenza!”
“Sento invece che qui troverò la risposta!”
“Non è da te farti giustizia da sola, cosa ti prende?”
La ragazza abbassò la testa sconfitta “Bretagna… accompagnami e se vuoi impediscimi di commettere errori, ma io devo andare, devo sapere, prima che… lo sappia lui.”
Bretagna annuì “Va bene, andiamo… ma sappi che mi fido di te, solo non voglio rimproverarmi di averti lasciata sola!”
Lei sorrise, ma poi in uno scatto abbracciò l’amico che rimase fermo in stato quasi di choc.
“Grazie! Sei veramente straordinario, Bretagna!” disse mentre lasciava l’abbraccio e già si dirigeva verso la cancellata.
Bretagna rimase qualche secondo ancora perso poi si scosse e la seguì.

Jet ritornò indietro dagli altri per avvisarli che potevano passare “Ma dove sono Françoise e Bretagna?” chiese a Punma che voltandosi solo in quel momento si accorse che erano spariti “Erano qui fino a un attimo fa… non capisco proprio”.
Jet scosse la testa, li cercò con lo sguardo poi disse “Andate dentro, vedrò di cercarli io!”
Così fecero raggiungendo Joe che fece a loro la stessa domanda.
“Non lo so” rispose Albert “Erano con noi, non ci siamo accorti di nulla!”
Joe abbassò gli occhi vedendo anche Jet tornare senza di loro “Non è colpa vostra!” disse “Cosa mi nascondi…” sussurrò a se stesso, poi ordinò “Andiamo, ci raggiungeranno!”

Una fitta all’altezza della milza, per una persona normale sarebbe la milza, non per lei, ma comunque una fitta fortissima che le arrestò la corsa di colpo e la costrinse ad appoggiarsi alla parete stringendo i denti per il forte dolore.
“Françoise, che hai? Stai male?” Chiese preoccupato Bretagna vedendola pallida e sofferente davanti a lui.
“Non lo so…”
“Vado a chiamare Joe…”
“No… ti prego, posso farcela”
“Ma se non ti reggi in piedi!”
“Aiutami, dai, è per questo che sei qui, andiamo avanti!” si rialzò a fatica, ma determinata, Bretagna scuro in volto decise di accompagnarla, anche perché se fosse tornato indietro l’avrebbe lasciata indifesa a sola e forse lei si sarebbe incamminata senza nemmeno aspettarlo.
“Vuoi proprio farmi uccidere da Joe, eh?” disse abbastanza seriamente da far sorridere lei “Non devi preoccuparti, se ti torce anche un solo capello ti vendico io!”
“Appunto, sono proprio tranquillo adesso!” risero ironizzando sulla sua testa pelata  quindi ripresero a camminare finché lei non gli fece cenno di fermarsi, aveva sentito qualcosa oltre la porta che avevano appena passato, ritornarono indietro e lei disse “Qui c’è Gilmour” con un colpo laser Bretagna sciolse la serratura, Françoise prima di entrare dentro gli disse “Vai a chiamarli e portali qui!”
“Va bene, ma tu non muoverti!” corse via.
Gilmour vide aprire la porta, ma la luce forte che entrava in quella stanza bianca lo accecava, non capì subito chi aveva di fronte, deciso a fuggire di corsa diede una botta alla figura che cadde su se stessa battendo contro lo stipite della porta, solo allora Gilmour si accorse dell’errore. “O no… Françoise… sei tu? Perdonami, come ti senti?”
Lei riaprì gli occhi sorridendo, poi una smorfia di dolore la prese.
“Ti ho fatto male, scusami…”
“No, dottore, non è stato lei, ho un forte dolore all’addome, ma non dovuto a questa caduta”
“Accidenti… ti dovrei controllare subito”
“Non importa, sto bene, ora arriveranno gli altri, ma io sto bene, sento solo qualche fitta, mi creda, lei come sta?”
“Ero molto in pensiero per voi, Ivan mi ha avvertito che stavate arrivando, volevo aiutarvi a trovarmi!”
In quel momento entrarono anche Joe e Bretagna dalla porta “Professore.. finalmente!” disse Joe poi accorgendosi che Françoise era a terra dolorante si precipitò da lei chiedendole cosa fosse successo.
“Ho preso una botta, aiutami a rialzarmi!” gli porse la mano, lui la sollevò con delicatezza sussurrandole “Se non facessi di testa tua e seguissi le mie istruzioni…”, ma lei rispose con un sorriso cercando di muoversi abbastanza agilmente da non destare sospetto.
“Professore chi l’ha rapita?” chiese Joe.
“Un gruppo di pazzi estremisti, vogliono liberare la terra da tutto ciò che a loro giudizio è innaturale e per farlo pretendevano che costruissi un cyborg che spaventasse la gente e li convincesse a rivoltarsi contro tutto!”
“E’ terribile!”
“Già… bisogna fermarli, temo che potrebbero comunque realizzare il loro piano, anche senza il mio aiuto, ma voi dovete stare attenti, siete tra i loro bersagli!”
“Stanno arrivando, dobbiamo sbrigarci!” disse Françoise sentendo dei passi avvicinarsi. Joe prese Gilmour e corse via convinto che lei l’avrebbe seguito, ma così non fece, rimase dietro la porta della stanza bianca nascosta, insieme a Bretagna mimetizzato in mosca sopra la sua spalla “Dovevi andare con loro!” sussurrò lei “Non ci penso nemmeno… te l’ho detto che rimango con te!” rispose lui.

 

Capitolo 9

 

“Ecco… ragazzi!” disse Joe raggiungendo gli altri fuori dalla fortezza.
“Professore lei ritorni con Françoise in… Françoise?…” non era nemmeno più sorpreso dal non vederla, abbassò la testa rassegnato ”Ma dove diavolo è finita stavolta?”
“Non c’è!” disse Jet guardandosi intorno!
Joe scalciò un sasso… ”Chang e Bretagna…”
“Bretagna non c’è!” lo interruppe Chang mortificato.
“Non è possibile…” scosse la testa sempre più confuso “E va bene… muoviamoci… Chang riporta tu Gilmour in albergo!”
“Va bene!”
“Joe…” lo chiamò Gilmour
“Mi dica professore!” non aspettandosi niente di buono ormai.
“Françoise non sta bene, appena puoi riportala da me, se necessario legala, ma non dovrebbe nemmeno camminare in quelle condizioni figuriamoci combattere!”
“Ma… a me non ha detto di stare male…”
“Non sai nemmeno se è stata ferita?”
“No, Professore, mi dica cos’ha!”
“Non lo so ancora, ma avvertiva dei dolori piuttosto forti ed è pallida!”
Joe fu preso da un pensiero poi disse “L’hanno picchiata quando vi hanno rapito, ha riportato diversi traumi e contusioni, ma la Sorokin che l’ha visitata, diceva che stava bene!”
“Ne parlerò con lei, ora andate, presto!”

Rientrarono tutti di corsa nella fortezza diroccata, mentre Chang e Gilmour correvano via dalla foresta in direzione dell’albergo nel centro della città.

“La porta… è manomessa, presto chiamate rinforzi!” la donna estremista si diresse in modo brusco nella saletta bianca, in lontananza rumori di passi che correvano via, i due cyborg ancora nascosti dietro la porta, Françoise stava per colpirla, quando l’ennesima fitta la scosse e la donna avvertito il rumore la sovrastò con un fucile puntato contro.
“Ma guarda un po’… un cyborg! Dov’è Gilmour? L’hai liberato tutto da sola? No, non credo, ci sono anche gli altri vero? Dove sono nascosti…..o ti hanno lasciata qui perché ferita? Eh… già… ma ora sei in  mano mia!” un ghigno malefico spuntò sul suo viso mentre toglieva a Françoise il laser di mano, Bretagna le si infilò sotto alla sciarpa gialla.
“Non parli?” continuò a incalzarla “Non fa nulla sai? E non guardarmi con questi occhi pieni di odio elaborato e finto, non provi sentimenti tu!”
“Che ne sai dei miei sentimenti? Tu sei proprio sicura di provarne?”
“Queste frasette ve le immagazzinano in fase di produzione? Avete una selezione per frasi ad effetto?” la derise ancora.
“Puoi credere quello che vuoi, non fa differenza!”
“Áine! Ma che sta succedendo?” dalla porta sbucò un ragazzo sui 25 anni, moro, dall’aria arrogante.
“Íon, Gilmour è scappato, ma guarda qui… ho catturato un cyborg!”
Il ragazzo si volse per guardare Françoise, rimase per un attimo stranito poi disse: “Un cyborg? Ne sei sicura?”
“Sicurissima, 003, uno dei primi creati da Gilmour, i nostri sono di guardia? Penso che ce ne siano altri in giro?”
“Earnan e Síoda sono qui fuori, gli altri aspettano nel laboratorio, portiamola lì, facciamo presto!”
“Sì, hai ragione” poi rivolgendosi a Françoise “Avanti! Muoviti!” le diede uno strattone facendola camminare.
“Áine… sei sicura sia un cyborg?”
“Non ti fidi? Íon?”
“Non è questo…” guardando Françoise “E’ fatta proprio bene… Vero Baby? Che carina che sei!”
Quelle parole e quella voce, Françoise fu presa da un fremito che scosse anche Bretagna stretto alla sua sciarpa.
“Ti senti bene?” Le sussurrò in modo che solo lei potesse sentirlo.
Françoise chinò il capo cercando di annuire all’amico.
“Ehi cyborg, parlo con te! Non ti ricordi di me? Peccato… mi dispiace che le mie conquiste non si ricordino… ma ora posso dire di aver avuto anche un cyborg tra le mie vittime!” ghignò  arrogante e irritante com’era, perfino Bretagna aveva voglia di sparargli, ma non era il momento di farsi scoprire.
Françoise rimase in silenzio cercando di non guardare il suo aguzzino.
Un ascensore li condusse al piano di sotto, Bretagna un attimo prima di entrarvi fece scivolare via la sciarpa di lei in modo che gli altri la trovassero poi si nascose nuovamente tra i suoi capelli.

 

Capitolo 10

 

La stanza vuota e l’espressione di Joe davano un senso ancora più inquietante a tutta la vicenda, Jet gli si avvicinò per rincuorarlo “Calmati, saranno andati avanti da soli…”
“Grazie, sei un amico!” rispose secco Joe sarcasticamente.
“Dai, non devi preoccuparti!”
“Non devo? Lei è ferita o comunque sta male, lui è un pazzo che non si rende conto di quello che fa…”
“Joe, smettila, non è così e lo sai bene, se sono andati avanti senza di noi ci sarà un motivo!”
“Un motivo che io non conosco!”
Albert rientrò di corsa nella stanza “Guardate!” disse mostrando la sciarpa di Françoise ancora impregnata del suo profumo, ci mise poco Joe a riconoscerla.
“Dove l’hai trovata?”
“Vicino ad un ascensore da carico!”
“Un ascensore in una fortezza medievale abbandonata?” chiese stupito Jet “Troppe cose strane in questo posto!”
“Non solo in questo posto!” mugugnò Joe correndo in direzione dell’ascensore, una volta giunto lì cercò invano di smuoverlo premendo tutti i tasti che trovava, ma sembrava in disuso da molto tempo “Maledizione!” disse “Non parte!”
“Avranno distrutto i comandi!” disse Punma “Posso provare io?” Joe lo fece passare poi si mise a camminare su e giù per il corridoio “Sentite! Non ce la faccio.. io cerco un altro passaggio!”
“Joe! Smettila adesso, cerchiamo di restare uniti!” lo ammonì Jet “Forse è ora che impari a fidarti di lei e di tutti noi!”
Il silenzio piombò su di loro, Joe con le spalle ai compagni si sentiva sopraffare dall’angoscia “Mi fido, mi fido… non ho mai detto il contrario!” stringeva la mano destra in un pugno.
“Non l’hai mai detto, ma non l’hai nemmeno mai dimostrato!” incalzò Jet davanti ai compagni abbastanza esterrefatti, gli mise la mano destra sulla spalla avvicinandosi e continuò “Sappiamo benissimo quale sia la tua angoscia in questo momento, ma devi calmarti e cominciare a fidarti di tutti noi, devi Joe!”
Joe indietreggiò di qualche passo, con le gambe tremolanti e un’espressione indecifrabile sul viso, forse per la prima volta esposto ai compagni, debole, lasciò che le lacrime scendessero a rigargli il viso, senza preoccuparsi di ciò che potessero pensare e si accasciò a terra, seduto sulle ginocchia.
Jet in quel momento si ammutolì e si chinò ad abbracciarlo, gli altri stettero in silenzio a guardarli, con il peso di quei giorni nel loro cuore.
Ad un certo punto Joe si rialzò in piedi e sforzandosi di sorridere si rivolse ai compagni “Bene, credo che qui sotto ci stiano aspettando” scosse appena il capo “Muoviamoci”.
Tutti trassero un profondo respiro e di corsa ognuno fece il suo per trovare un modo per riattivare il montacarichi ci riuscirono solo dopo qualche ora, ma fu la collaborazione e lo spirito di squadra a vincere davvero in quel momento.

 

Françoise e Bretagna intanto erano rinchiusi in una celletta, lui ancora trasformato in una mosca, se ne stava appoggiato sulla spalla di lei e la guardava senza avere il coraggio di dirle nulla.
Lei era una maschera di dolore represso,  continuava a mordersi le labbra e tirare su col naso, ma non c’era traccia di lacrime sul suo volto, sembra si fossero fermate tutte sugli occhi, come ci fosse stata una barriera invisibile. Bretagna non sapeva che altro poteva fare per la sua amica se non restare in silenzio e fingere di non esserci neanche, fu sollevato dal fatto che decise lei, d’un tratto, di rompere il silenzio.

“Sento qualcosa di strano” disse con la voce spezzata da un pianto invisibile.
“Cosa? Cosa senti?” parlavano a voce molto bassa perché in effetti lei nella stanza doveva essere sola.
“Ci sono diversi macchinari qui sotto.” Sgranò gli occhi sussultando “Stanno… stanno costruendo il cyborg”
“Ma come è possibile? Françoise, come fanno da soli? Qualcuno li sta aiutando?”
Françoise cercò di concentrarsi ancora per riuscire a sentire meglio i rumori provenienti dalle stanze vicine e dal corridoio. E proprio lì sentì i passi di Áine correre e fermarsi davanti alla porta di una stanza vicina.

“Íon… ÍOOONN” strillava la ragazza irlandese e batteva forte alla porta mentre piangeva “Perché? Sei uno stupido, Íon!”
La porta si aprì di scatto e un uomo non molto alto, vestito di nero con un cappello in testa e un ghigno poco rassicurante sul viso ne uscì richiudendosela dietro.
“Lei non dovrebbe essere qui”
“Che state facendo a Íon?” chiese lei cercando di passare, l’uomo le afferrò i polsi e la trattenne.
“Facciamo ciò che ci avete chiesto, volevate un cyborg e ve lo stiamo dando!”
“Ma non Íon, perché lui?” piangeva mentre tentava ancora di divincolarsi.
“Il suo amico ha scelto di diventarlo e la sua indole a noi è piaciuta molto, diverrà uno spietato cyborg, quello che cercavamo”
“Spietato? Ma che dite, a noi serviva solo una scusa per dimostrare la pericolosità di questi robot, un cyborg che mettesse solo paura e che noi avremmo reso inoffensivo convincendo la nostra gente”
“Sì, quello era il vostro piano, ma vede, a Íon ne abbiamo proposto un altro che ha subito accettato, è un ragazzo sveglio il suo amico”
“Maledetti, Íon… ÍOOONN esci da lì, non farlo!” ancora si dimenava cercando di liberarsi, ma l’uomo era più forte e la sbattè violentemente contro la parete del corridoio così che lei perdesse i sensi, si sistemò la giacca e rientro dalla porta “Sciocca!” mormorò prima di richiuderla alle sue spalle.

“Bretagna, devi andare via” il tono di Françoise non prometteva nulla di buono, fece per rialzarsi, ma l’ennesima fitta la fece ricrollare a terra.
“Françoise, non posso lasciarti così, stai male”
“Devi andare dagli altri, avvertirli, hanno costruito il cyborg, è il ragazzo che” si morse le labbra “digli che è uno degli integralisti che ha rapito Gilmour, tu saprai riconoscerlo” l’aveva guardato dritto negli occhi con una forza che per Bretagna sembrò disarmante.
“E cosa faremo se ci attaccherà?” chiese guardandola.
“Vogliono ucciderci, dobbiamo fermarlo, è un cyborg molto più potente di quello che avrebbero voluto progettare, si è intromesso il Fantasma Nero e ha stravolto i loro piani, la ragazza è stata ferita e dobbiamo sbrigarci!” mentre parlava sentiva un dolore acuto al basso ventre si guardò le gambe e fu allora che si accorse dell’emorragia.
“Françoise, tu stai male” se ne accorse, ovviamente, anche Bretagna “come faccio a lasciarti qui!”
Lei lo guardò ancora, pallida e tremante “Se resti qui potrei morire comunque, vai e fai presto!”
Bretagna si decise e sgusciò via dalle fessure della porta, non prima di averla guardata ancora una volta mentre lei distesa cercava di farsi coraggio, muovendosi il meno possibile.

 

 

Capitolo 11

Joe e gli altri percorrevano svelti un cunicolo dei sotterranei quando ad un tratto sentirono uno strano ronzare venirgli incontro, si guardarono tra loro e si nascosero il più possibile, mente Bretagna travestito da mosca cercava la via d’uscita e trovandosi davanti il naso di Jet sgranò gli occhi mormorando “Che per caso vi ho trovati?”

Jet si grattò la testa pronto a borbottare qualcosa, ma si arrese all’evidenza “Sì, ci hai trovato”
“Dov’è Françoise, Bretagna?” chiese Joe apprensivo.
“Joe, sta male, sta davvero male, è a poco da qui, in una stanza chiusa a chiave, ma prima di andare da lei devi sapere una cosa.” Prese a raccontare a lui e agli altri tutto quello che Françoise aveva sentito sul cyborg, Joe strinse i pungi poi disse “Io vado avanti, voi fate attenzione a questo cyborg, Jet tu vieni con me, mi aiuterai a portare via Françoise appena l’avremo trovata”. Corsero via per il corridoio con Bretagna dietro ad indicare la strada, gli altri più cauti li seguirono dietro.
Giunti davanti alla porta Joe sparò sulla serratura riuscendo ad aprirla, non gli importava di far rumore, la sola cosa che voleva era portare via da lì sua moglie e saperla tra le mani del Dott. Gilmour, ma a vederla sdraiata a terra e sporca di sangue restò impietrito, fu Jet a precipitarsi da lei “Françoise, svegliati, Françoise, Joe, Joe che facciamo?”
Finalmente Joe si chinò, le diede una carezza sul viso, ma il rumore dei laser nel corridoio lo ridestarono da ciò che stava pensando “Portala via, fai presto!” disse soltanto mentre Jet la prese tra le braccia e volò via coperto dal fuoco dei compagni.

Íon, ormai cyborg, era molto potente, aveva diverse caratteristiche dei nostri racchiuse nel suo solo corpo. Sapeva volare e sparare dei missili con le dita bioniche e aveva una grande resistenza fisica, nonché un’innata cattiveria.

Gli uomini del Fantasma Nero fuggirono via da un’uscita laterale, l’uomo che aveva aggredito Áine rise mentre saliva sull’elicottero che lo portava in salvo “stavolta è finita per voi”.

Joe, spinto da una rabbia incontrollata combatteva il cyborg quasi dimenticando che era anche lui un uomo, nei suoi occhi c’era ancora l’immagine di sua moglie stesa a terra, ferita e per lui ora quel cyborg ne era il solo responsabile, oltre a se stesso, ma nonostante tutto era distratto da questi stessi pensieri.
Íon se ne accorse e ne approfittò riuscendo a prenderlo e trascinarlo in un angolo. Con una mano gli afferrava il collo, stretto contro la parete del sotterraneo.
“Io vi farò a pezzi uno ad uno, ho cominciato con la ragazza, continuo con voi” Joe ebbe un moto di rabbia e provò a divincolarsi.
“Maledetto, io ti..” non riusciva a parlare, la gola sempre più schiacciata e i compagni in quel momento erano tutti a terra feriti, Íon era troppo potente riusciva a difendersi dai loro attacchi e al tempo stesso attaccarli, mentre si occupava di lui, ma una volta resi inoffensivi si concentrò solo su 009, pronto a riversare su di lui tutta la sua violenza.
Fu allora che Áine riaprì gli occhi, quello che vide non era più il suo amico, sebbene sapesse che nemmeno prima lo era, perché Íon era sempre stato cattivo con tutti. Era stata violentata anche lei anni prima eppure se ne era innamorata, era stata soggiogata da quel suo modo di fare, forse succube o forse semplicemente fu la follia a farla passare da vittima a sua complice, convinta che un giorno lui avrebbe capito e che sarebbe riuscita a salvarlo dalla sua pazzia, ma ora lo guardava con occhi diversi e vedeva in lui tutto il male, strisciò per qualche metro fino alla pistola laser caduta ad Albert, guardò quell’uomo robot, quel cyborg e non riuscì più a provare disprezzo, ne sentiva più per se stessa. Puntò la pistola contro il circuito vitale di Íon, lei sapeva il punto debole del cyborg che le dava le spalle, perché aveva contribuito al progetto. E prima di cadere al suolo, priva di vita, sparò il suo colpo che raggiunse il cyborg rendendolo ormai inoffensivo.

Joe si ritrovò a terra di colpo senza neanche capire, guardò il cyborg che aveva davanti, stava per esplodere, i suoi compagni erano a terra, non aveva tempo per portarli via, gridò “Svegliatevi, dobbiamo andare via, presto!”
In quel momento Íon esplose, facendo crollare su di sé l’intera fortezza e chi era lì.

Capitolo 12

Quando Françoise riaprì gli occhi sentì il profumo della cena che si spandeva per la casa, si girò a guardare la finestra aperta e il sole stava tramontando, in quel momento entrò Gilmour dalla porta, le sorrise vedendola sveglia, aveva una scodella di riso al curry in mano e la posò sul comodino.

“Françoise” disse con dolcezza “ti stai riprendendo in fretta e credo sia il momento di parlarti di ciò che ho evitato fino ad oggi”

Lei a fatica si mise dritta con la schiena, sentiva ancora un dolore strano al ventre. Gilmour le sistemò i cuscini affinché vi appoggiasse.

“Tutto quello che sto per dirti avrei voluto dirtelo la sera che mi hanno rapito, tu stavi già male allora”

Françoise sgranò gli occhi “In che senso stavo già male, dottore?”

“Nel senso che il tuo problema non deriva da ciò che ti ha fatto quell’uomo” ci fu un breve incontrarsi di sguardi, lei rabbrividì, Gilmour sapeva tutto, poi lui continuò.
“Il problema è che il tuo corpo, purtroppo, non può affrontare certe..” sospirò “certe situazioni”, fece due passi indietro e poi tornò verso di lei, sedendosi su una sedia poco distante “Nell’ultimo controllo che ti feci poco prima del convegno mi ero accorto di una cosa, c’era qualcosa di diverso, ma prima di capire cosa e di metterti in apprensione per nulla, ho cercato di informarmi meglio. La sera della festa ti ho vista stanca e  pallida, ti girava la testa. Ti ho portata fuori con l’intento di parlartene perché ormai avevo capito quello che ti stava accadendo, poi successe quello che successe… ma non voglio dilungarmi”
Françoise trasse un profondo respiro cercando di dare un freno all’agitazione che sentiva pervaderla.
“Il problema è che allora eri incinta” guardò il viso di Françoise sconvolto e decise di continuare a parlare “Eri perché hai avuto un aborto spontaneo che avresti avuto comunque, non è stata colpa di quell’uomo, né del fatto che sei stata coinvolta in una missione particolare” premette le mani l’una nell’altra “L’avresti perso comunque perché il tuo corpo non può portare a termine la gravidanza, sebbene tu abbia tutti gli apparati riproduttivi per concepire, il tuo utero è una lamina, la stessa che riveste le tue ossa, quindi fa parte della te cyborg e non è in grado di ospitare un feto destinato a crescere” aveva cercato di essere dolce e comprensivo nella descrizione eppure si sentiva terribilmente fuori luogo a parlarle lui di queste cose.
Françoise aveva ascoltato tutto in silenzio, si poteva sentire solo il suo respiro crescere e smorzarsi ogni tanto, ma non disse nulla.

“Forse un giorno potrei aiutarti, potrei studiare un modo per aiutarti, posso almeno provarci se lo vorrai”

Françoise accennò un piccolo sorriso “Non deve sentirsi in colpa, Dottore, non è colpa sua, né di nessuno”

Gilmour la guardò, sembrava strana, distante e vicina allo stesso tempo.

“Joe, non sa nulla ancora, vero?”

Gilmour scosse la testa “No, mi sembrava giusto prima parlarne con te. Dopo la missione Joe e gli altri sono stati parecchio tempo in cura perché sebbene Ivan sia riuscito a trarli in salvo prima che esplodesse la fortezza, hanno tutti riportato diverse ferite. Alle sue domande ho sempre risposto in maniera vaga, in fondo quello che voleva sapere era soltanto se procedeva la tua guarigione e di questo l’ho tenuto informato giornalmente”.

Françoise annuì, poi si voltò ancora verso la finestra “Domani mattina, gli parlerò!”

 

Epilogo

Il gabbiano le virò davanti ancora una volta, ne seguiva le piroette con lo sguardo, le dava serenità nonostante il catastrofico susseguirsi degli avvenimenti. Era immersa in un lunghissimo attimo di silenzio. Joe seduto accanto a lei aveva appena sentito tutto quello che doveva sentire e che pure, ora, avrebbe tanto voluto non sentire mai.

(Ho paura di incontrare il suo sguardo, ho paura di vedere la tristezza nei suoi occhi, di capire la sua delusione, ho paura di non rivedere il suo sorriso, ho paura di non sorridere più)

Il gabbiano si tuffò nell’acqua e ne uscì con un pesciolino nel becco, si dimenava, ma era la natura a fare il suo corso e il gabbiano volò via, probabilmente a sfamare una nidiata.

(Ormai tutto questo ha un senso, ormai il destino ci ha caricati di tutto, quello che proviamo noi due è solo un dolore nostro, forse un giorno ne verremo a capo, un giorno chissà…)

Joe le prese la mano e lei trasalì, i loro sguardi si incrociarono e lessero uno dentro l’altro il tormento, la tristezza, ma anche l’amore e la forza che provavano, l’abbracciò senza dire nulla e lei fece altrettanto, mentre il sole riscaldava i loro corpi gelati dal dolore e piansero un po’ così e ogni tanto risero senza dirsi nulla, stretti l’uno nelle braccia dell’altra, dall’alba al tramonto, per un giorno di dolore, solo loro.

 

Fine

© 30/08/ 2007

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